Gyokan: il tempo tra le righe di Kazuto Takegami — Ma che storia è? —. Altro che Fazio e Litizzetto. Parola di Maria Marchese. A cura di Maria Marchese

 

Oggi vi parlo dell’arte di Kazuto Takegami, della mostra personale “Il tempo tra le righe” e di un tempo speciale: il “gyokan”. L’arte che Takegami ha sapientemente affinato nel tempo coinvolge ed avvolge in una dimensione indefinita ed indefinibile, dalle incertezze preziose, argentine, perlacee. Vi racconto, quindi, di una giornata inusuale per molti aspetti…altro che  Il Meteo e “Che tempo fa”.

Sx. La locandina de "Il tempo tra le righe" ; Dx Kazuto Takegami, Maria Marchese, Axl e Michela Afeltra


A cura di Maria Marchese

Sabato 18 Novembre faceva freddo, quando sono andata alla libreria La Balena, a Milano, con due amici. Il cielo non era particolarmente soleggiato…

Ma parlando d'arte, mentre ci spostiamo da Cadorna a via Cesare Correnti, la temperatura diventa meno rigida. Aggiornandoci, intanto, sulle ultime novità, racconto del fatto che spesso vengo identificata come Valentina Crepax; il mio interlocutore, proprio in quel momento, indica un palazzo alla nostra sinistra: la casa di Guido.

   Assurdo — penso.

Sono già nel gyokan, ma non lo so.

Davanti alla vetrina della libreria ci aspettano Takegami, Gloria Zoia, sua moglie, e Michela Afeltra, la proprietaria dello spazio.

All’interno, familiarizziamo tra noi e con le opere presenti…

   Hai un viso noto — dice Michela ad Axl.

Non ve lo aspettavate eh? Sì … c’era anche Alessandra Mangano.

   Io ti ho già vista — lo stesso dico io a Michela, ipotizzando sul dove, come, quando…

   Magari Fb… — penso e dico.

Può essere.

Intanto Gloria ci spiega il perché de “Il tempo tra le righe”, il titolo della mostra: nelle opere, Kazuto ha interpretato alcuni libri letti.

   Ci sta — penso — è una libreria… 

Ma facciamo una passo indietro… sapete cos’è il gyokan? 

Non voglio fare la di più, quindi vi dico che, per la prima volta, affronto — ed è il termine più appropriato se ben mi conoscete! La Marchese adora le parole, le prende di petto, le vive… — la parola gyokan (in realtà sulla o andrebbe un trattino, ma la tastiera non mi consente di farlo): essa identifica lo spazio bianco tra i paragrafi. A mia discolpa, vi informo che è un termine specifico giapponese.
I pragmatici direbbero che esso è uno spazio di carta bianca funzionale alla separazione dei paragrafi”; i sognatori, i folli, gli artisti — mi ci metto pure io — , invece, potrebbero raccontarvi tutta una storia più complessa — uso il condizionale perché, in questo caso, entrano in gioco molteplici fattori legati ad uno stato che nulla ha a che vedere con la realtà immanente.
Potrebbero parlarvi, magari, di spiriti, di apparizioni, magia, serendipità — il buon Walpole docet— e di tutta una serie di episodi o elementi astrusi, non empirici. “È uno spazio dove il tempo assume una connotazione personale, intima; in esso, troviamo pensieri omessi, ucronie, assurdità plausibili… e può accadere qualunque cosa.”
 
  Ellapeppa Marchese, tutta questa roba qui? — mi direte.
    Eccerto — vi rispondo.
 
Sono quelle situazioni che raccontate suscitano, per intenderci, scetticismo e derisione nella maggior parte delle persone.
Proviamo a pensare ad un libro: la sola lettura, seppur si parta dai medesimi presupposti, ossia una sequenza di concetti/avvenimenti espressi attraverso le parole, essi assumeranno un’interpretazione diversa nell’immaginario di ognuno di noi. Alcuni, infatti, noteranno dei particolari, altri individueranno elementi diversi, che, a loro volta, assumeranno sembianze, simili, oppure no; potrà anche capitare che rileggendo lo stesso libro, a distanza di tempo, tutto possa modificarsi.
Proviamo ora ad immaginare concretamente a cosa potrebbe accadere quando si giunge al “gyokan”: obbiettivamente, si chiudono un pensiero, una situazione appena letti, ma non ci è dato di sapere il seguito. Forse, allora, ci verrebbe da riflettere sull’accaduto, magari inizieremmo immediatamente ad immaginare un possibile seguito, o cadremmo in preda ad una possessione che ci spingerà a bruciare il giokan, pur di saperlo, o addirittura, chiuderemmo il libro per non volerlo riaprire più.
Insomma, un pezzo di carta bianca vale tutto questo ed altro…
C’è da dire che noi definiamo “spaziatura” la distanza tra paragrafi, mica “gyokan”, e si sa che la cultura occidentale è così pop, rappresentazionale, verbale, articolata, diacronica, causale, utilitarista — Urka Marchese come sei spietata, penserete… — , mentre l’oriente è cosi “Om”.

La vetrina della libreria La Balena in occasione della personale di Takegami; alcune opere dell'artista realizzate con l'inchiostro di china
Sx. La vetrina della libreria La Balena con Esposte le opere di K. Takegami; Dx Alcune opere dell'artista giapponese realizzate con l'inchiostro di china.


Ma torniamo a Kazuto Takegami ed alla mostra “Il tempo tra le righe”

Takegami giunge in Italia nel ’98, con la vincita di una borsa di studio presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, città dove poi rimarrà a vivere e lavorare. Classe 1970, si laurea presso l’università d’arte di Tokyo con una specializzazione in pittura ad olio; si dedicherà per qualche anno all’insegnamento, decidendo, in seguito, di affrontare solo la carriera di artista. In occidente, affina la tecnica della pittura ad olio, perfezionandone altre come l’affresco, l’incisione e la tempera grassa. Il Giappone, ad un certo punto, diventa per Takegami un’inattesa tornanza, che si traduce nel desiderio di avvicinarsi ed approfondire alcune tecniche tradizionali dell’estremo oriente, come la pittura ad inchiostro di china Suiboku-ga ed alcune tecniche del Nihon-ga.

Ne “Il tempo tra le righe”, l’artista fornisce una visione pittorica di alcuni passi tratti da diversi libri che ha letto; tra i più noti “Il barone rampante” ed “Il piccolo principe”, ci sono, invece, libri ricercati, sconosciuti a molti, come “Il tatuaggio” di Jun’ichiro Tanizaki,, “La recherche” di M. Proust oppure ”Donne che ascoltano l’albero della pioggia”di Kenzaburo Oe.

Il lavoro di approfondimento compiuto da Takegami per quanto riguarda le tecniche che ho citato, nonché l’utilizzo di “ingredienti” specifici come l’inchiostro di china, i pigmenti naturali o il gofun (colore bianco perlaceo estratto dalla polvere di guscio d’ostrica), uniti ai colori ad olio, ha fruttificato una cifra stilistica assolutamente personale. La sua pittura è squisitamente rarefatta; nelle opere si percepiscono umori lunari, argentini, incerti, dove la non finitezza dei contorni sembra celare una sorta di abluzione rispetto alla realtà immanente.

Giocando con le conoscenze acquisite con una manualità maturata in anni di esercizio, l’artista ha saputo creare una vera e propria dimensione che sembra inafferrabile, in cui ci si muove “addentro” ­– non in, nella, dentro…– . La sensazione di addentrarcisi è data dal sapiente lavoro di stratificazione operato, dove la mescita di elementi, ognuno con caratteristiche diverse, dà vita ad effetti di sovrapposizione; il risultato è di sentirsi avvolti/coinvolti in una profondità euritmica ovattata, in cui il naufragar è dolce… a volte malinconico.

Per quanto lo stile di Takegami possa risultare estremamente semplice, anche ad un’analisi meno approfondita ci si accorge che sono molteplici i fattori che ne determinano l’estrema complessità, ben oltre l’estetica: l’aspetto prospettico che determina il punto di osservazione, ma anche il punto di vista dell’osservatore e, addirittura, identifica lo stesso; la perlescenza o il crescendo e decrescendo dell’intensità del nerofumo che rendono le atmosfere ed i soggetti luoghi ed entità sfuggenti, indatabili, anche se riconoscibili all’occhio umano; la ricercatezza dei colori, dai più tenui ai più decisi, realizzati dentro un pentagramma cromatico, sospesi tra un rigo e l’altro, tra una battuta e la seguente, dove è percettibile il movimento, mai repentino bensì cauto, come la delicatezza che contraddistingue una personalità tanto votata all’introspezione ed amabile come quella di Takegami.

E tornando al concetto di “gyokan”, in quello dell’artista c’è la matericità della pietra su cui polverizza le barrette di carbone, la forza con cui le frantuma ed il rumore dell’acqua che egli vi unisce per creare l’inchiostro nero ed ancora la timidezza o la sfacciataggine di una setola rispetto ad un’altra, unite alla forza gestuale dell’autore; ci sono gli umori fragili del tuorlo d’uovo che esacerbano una certa precarietà pur donando estrema lucentezza; in esso, esiste la pregevole riservatezza dell’ostrica,che si schiude al mondo…

 

    -   Ma Marchese tutte ‘ste cose le senti e le vedi veramente? — chiederete.

    -  Se le scrivo, assolutamente sì. — vi rispondo.

Il giokan è uno spazio arricchito dalla sensibilità, dall’ascolto e da una profonda connessione con lo scorrere dell’universo; per viverlo intensamente occorre aver compiuto un grande lavoro sui noi stessi. La dimensione di cui ci parla Takegami possiede la fluidità dell’iconscio, o meglio di uno stato di coscienza così poco legato alla ragionevolezza e all’opposto indotto da intuizioni naturali.

La delicatezza della pittura di Takegami altro non è che la forza carismatica del sussurro: in un panorama artistico dove spesso l’arte è urlata attraverso colori sfacciati, attraverso provocazioni che vogliono sconvolgere – rasentando troppe volte il cattivo gusto, aggiungo – , Takegami fa della propria arte un riflesso della sua personalità così garbata.

Alcuni scatti della mostra "IL tempo tra le righe di K. Takegami
Alcuni scatti dalla visita alla mostra personale di K. Takegami "Il tempo tra le righe"


Ma il mio gyokan?

Il mio giokan era rimasto alla casa di Guido Crepax, esattamente mentre parlavo col mio interlocutore del fatto che vengo paragonata alla celebre Valentina…

Quindi, parlando con Kazuto Takegami di un’opera che racconta la storia di un tatuatore, un tatuaggio ed una giovane donzella, proprio mentre mi indica la tela, scrive un amico tatuatore che non sentivo da tempo.

     Bling – fa la notifica. La leggo ed esclamo – Non è possibile! (ma so che lo è).

Usciamo dalla libreria e controllo il telefono nuovamente; trovo la telefonata di un’amica, anche conoscenza di Axl e glielo dico, ripromettendomi di telefonarle più tardi. Michela Afeltra ci propone di pranzare assieme in un locale lì vicino. Facciamo pochi passi e, guardando le vetrine, rimango ancora folgorata! Mi parte un ennesimo – Non è possibile! –.

Ovviamente i presenti mi guardano interrogativi e spiego che, esattamente 2 mesi prima, avevo bevuto un caffè proprio nel bar accanto a noi, con l’amica che aveva mi aveva chiamata; eravamo capitate lì per sbaglio e mentre stavamo cercando un posto per poter assumere qualcosa, passando davanti alla libreria ho fatto presente alla mia accompagnatrice la mia sorpresa nel vederne ancora aperte, indicandole anche la donna che stava davanti ad essa, ignara che fosse Michela Afeltra, per via del particolare fascino che emanava.

I pragmatici sosterranno che sono coincidenze mentre noi parliamo di sincrodestinità, serendipità, filo rosso…

Ma non è finita!  Avrei dovuto rientrare con una persona che era con me alla mattina, in stazione; senza metterci d’accordo la ritrovo a Cadorna, ma abbiamo fatto i biglietti per due destinazioni diverse; lei sarebbe scesa diverse stazioni prima rispetto a me ed aveva una persona che l’avrebbe prelevata per portarla a casa.

Indovinate dove si è rotto il mio treno?

Sono rientrata a casa in auto con lei.

Nei giorni a seguire, ovviamente, è stato un continuo di felici eventi e, forse, ve li racconterò un’altra volta.

Ma quanto ci piace questo “gyokan” , così felice, sorprendentemente ricco di inattesi, di magia e bonheur!

Ah!  Alla prossima by Maria Marchese


Un aggiornamento dell’ultima ora!

"Gyokan wo yomu" leggere tra le righe in giapponese
"Giokan wo yomu" -  Leggere tra le righe in giapponese 


Dopo aver pubblicato l’articolo, Domenica 6 Aprile, vado a casa di amici; lì, trovo un conoscente sposato con una squisita — sì, sì, anche lei è una persona amabile e ve ne ho già parlato Aya Yunoki( vi suggerisco di premere sul suo nome ed andarvi a leggere l’ esperienza che ho avuto con lei) — signora giapponese. Gli racconto delle mie difficoltà per quanto riguarda l’inserimento del trattino sulla O, mi spiega che potrei sostituirlo con “OU” , quindi scrivere “gyoukan” , poi, mi fa dono di una chicca.
Davide, questo è il suo nome, completa questo felice inanellamento di eventi erudendomi del termine “Gyokan wo yomu”, che significa “leggere tra le righe” , che corrisponde esattamente a ciò di cui vi ho parlato sino ad ora, trascrivendolo in caratteri Giapponesi. 

— Viva i sognatori, i folli , gli artisti…! —

Adesso sì : alla prossima by Maria Marchese

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