Se sei bello ti tirano le pietre, se sei brutto ti tirano le pietre, se sei Sarro crei — o sei? — le pietre: the magician's stones. A cura di Maria Marchese
Lo avevamo lasciato alla collettiva Refugium Peccatorum, in quel di Milano, con l’opera Anima Nera; oggi, Matteo Sarro torna con una stagione artistica evoluta, rispetto al passato, dove il sasso muta ulteriormente, insassandoci!
Sx Una fase della creazione della serie Metamorfosi. Dx Sarro impegnato nella creazione della serie Metamorfosi |
Giorgia ne ha piene le tasche — e, magari, anche le tasche piene —, al buono e al cattivo, al bello e al brutto, li tirano comunque, secondo Antoine, Nigiotti lancia la sua donna come un sasso, che torna, a suo dire, poi, indietro – ci sarà un cane a riportarlo? Ahahah —, mentre Lorenzo Cherubini, alias Jovanotti, ci trova addirittura un pianeta, nel sasso…
Avevamo lasciato Matteo Sarro a Refugium Peccatorum, la mostra collettiva di Milano, mentre lanciava il sasso e mostrava la mano…
Rewind: io e Matteo Sarro
Matteo Sarro con la curatrice e art influencer Maria Marchese |
Qualche anno fa, mi arriva la foto di Horror Vacui un’opera di Sarro, e qualche notizia su di lui; all’epoca, ero curatrice di un’esperienza collettiva alla quale partecipava. Mi forniscono il contatto, così, per capire, circoscrivere e poterne parlare, gli domando l’origine di questa pietra solitaria, immersa nella “bianchitudine” totale.
— Ohibò — penso — identità e alterità assieme non sono assurde —, mentre si apre una parentesi sconfinata nella mia testa, dove riflessioni vanno e vengono… — Che meraviglia! —.
”Ohibò!” è riferito al fatto che mi chiedo chi possa comprendere un messaggio così sottile?!
Ci sentiamo telefonicamente e passiamo mezza nottata a raccontarcela su come un essere umano possa comprendere la propria identità attraverso il confronto con gli altri — Lévinas docet, con “visitazione e vita” —, sul fatto che Sarro transustanzi la pietra in essere umano — Peccatore!… Grida qualcuno, perché il sasso è materia esanime —, mentre altri dicono a questo giovane di non filosofeggiare…
Lui, intanto, “ruba” la farina dalla dispensa del padre, mischiando dapprima con elementi acrilici, in un secondo tempo con schiume espanse, perché quel sasso sia saporoso come un pane lievitato, profumato di ricordo, radici, memoria, ma anche artistico, sperimentale, “studiato” come si dice al sud…
Apro e chiudo un'altra parentesi
Durante una conferenza a cui assistei, il caro Daverio parlò del filosofo che saliva sulla montagna, per ritornare e provare a convincere il popolo e le alte sfere che le sue teorie erano fondate — pena: l’esilio o la morte, in caso di fallimento —; se ci riusciva, veniva accolto nella schiera degli eletti, degli eroi…
Insomma, questo per raccontarvi che aria tirava in quel periodo.
Il fatto che un 23 enne si stesse confrontando con me su un terreno difficile era evidente, come lapalissiano era il fatto che portasse con sé materiale nuovo, convincente e ben eseguito: Matteo era “quello che ce l’ha fatta”, intendo il filosofo.
Nel tempo
Da sx "Horror Vacui", "Bisogna pure mettere il punto", "Floraison" - Matteo Sarro |
Per farvela breve, io e Matteo Sarro creiamo un sodalizio artistico, dove racconto le vicissitudini di queste pietre umane – sì sì! Proprio come un sequel a puntate — : vivono il colpo di fulmine (Istant Crash) , si lasciano, vengono additate come colpevoli di chissà quali peccati (vd Anima Nera) , poi, vengono assolte, vincono la paura della solitudine identificando il vuoto come spazio pieno di sé stesso ( vd Horror Vacui) — Parbleu! aggiungo io —, sono tranchant, in certe situazioni ( vd Bisogna pur mettere il punto) , sbocciano, in altri casi, come un bouquet di fiori (vedi Floraison) …
Poi, Matteo si ferma.
— Torna sulla montagna? Va in vacanza? Sfrega le pietre per accendere il fuoco su un’isola deserta? Ahahah… —.
Oggi
Matteo mi videochiama — questo accadeva spesso, nel senso che a Matteo piace da sempre il confronto de visu, vero, anche mentre crea —.
Tranquilli: le pietre non sono diventati gnocchi nel frattempo.
Tra lo sfrigolio dell’olio bollente e i vapori della pasta appena scolata, ascolto il racconto di quella pausa esistenziale e, come sempre, la pietanza, i fatti,…, trascendono, diventando un momento di riflessione.
Appartengo
Frutto di questa divagazione è l’opera “Appartengo” — a chi, cosa, quando, come, se e nel caso, è dato ai posteri o a Voi di decidere… —.
È nello stile di Matteo Sarro, infatti, creare e liberare, medesimamente, il manufatto, da ogni concetto pregresso, così che esso fluttui ovunque, tra il suo pensiero e quello altrui, libero e leggero.
Leggerezza
La consistenza e la durezza proprie della pietra vengono annullate dal contesto compositivo, in cui l’ombra precipita al suolo mentre lei, la pietra, paradossalmente, esita, galleggia; tra le sue mani, inoltre, il colore diventa un manto setoso e impalpabile, tanto che la pura essenza perde i propri limiti estetici e diventa…
Chi lo sa?!...
Sulla tela “Appartengo”, il/la protagonista si manifesta come una regressione della compattezza, come se la pietra fosse tornata ad uno stato più liquido, quasi lavico, di ribollimento — forse è l’incertezza insita in Matteo oppure la necessità di perdere le certezze raggiunte, la semi gravità che inizia ad essere insostenibile? —.
Pure la leggerezza diventa insostenibile in un film…
Nonostante, quindi, le sue opere parlassero, sin dal primo momento di “essendo non essendo” — non nel senso del buon Shakespeare —, il “non essendo” di Sarro, che pur è, ha cambiato texture, pelle…
La sperimentazione Sarriana si arricchisce di un ingrediente esotico: la resina acrilica.
Essa interagisce con la farina in maniera più irrequieta, più dinamica, meno domabile…
Così, Matteo Sarro racconta, attraverso la nuova serie, questo cambiamento, in cui muta, come avviene nel grembo; i processi sono però disgreganti, dissolventi, per cui l’interezza appare sempre più dismorfica ed incerta, tornando, probabilmente, verso una nuova Unità: il nuovo Sé.
E mentre Ambra Angiolini suggella un amore eterno al suon di “T’appartengo ed io ci tengo e se prometto poi mantengo/M’appartieni e se ci tieni tu prometti e poi mantieni”, e zia Giovanna cita un proverbio degli Indiani Nitsitapi
“Un uomo non dovrebbe mai camminare con tanto impeto da lasciare tracce così profonde che il vento non le possa cancellare” l’artista beneventano sottolinea un legame di appartenenza che si percepisce dalla vicinanza con le geometrie presenti sulla tela, ma se si tratti di terze persone è da vedersi…sono tracce aleatorie, forse offuscate dal vento, o, al contrario, liberatorie, perché ci permettono di scegliere.
Metamorfosi
Il passo successivo lo vede staccarsi dalla tela, diventando architettura scultorea di una particella: il metro quadrato umano non può contenere la metamorfosi, che rivisita spazi, interni ed esterni, rivedendo anche se stessa, continuamente.
Sarro crea nuove illusioni, questa volta, però, coinvolgendo uno storytelling autoctono, che diventa esperienza esotica, allorché la mutazione è inattesa e sorprendente.
Cosa sto diventando?
Se io sono e allo stesso tempo cambio in… posso essere tutto, lo straniero, l’inatteso, l’infinitesimale nonché l’immensità, qui e in ogni luogo.
Le unità di Metamorfosi potrebbero essere neo Aleph — ipotesi reali o effimere — di un luogo fisico interiore in divenire.
Rispetto al passato, le opere presentano una matericità graffiante, arrogante, prepotente, quanto il desiderio
— Mannaggia Marchese quanto sei complicata! — direte voi.
Ragazzi mica siamo qui a pettinare le bambole! Lo scambio con Matteo Sarro ci permette — e sottolineo Ci — di esplorare e superare confini personali da sempre.
Volevate effetti speciali? Eccoli!
Di consueto vi dico solo:
Alla prossima by Maria Marchese.
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