L'armistizio della pelle: “Je ne sais quoi” di Maria Marchese analizzata da Giorgio Borzellino Fellini
“Je ne sais quoi” - Dedicata a Chéri nasce pochi giorni fa dalla penna di Maria Marchese e, prima di venire condivisa col pubblico, arriva tra le mani del filosofo Giorgio Borzellino Fellini.
| A sx la poetessa, curatrice e critica d'arte, art influencer e designer di accessori Maria Marchese; a dx un estratto della nuova poesia "Je ne sais quoi" - Dedicata a Chéri. |
La poetessa – ma, anche, critica e curatrice d’arte, art influencer , divulgatrice culturale e designer di accessori - Maria Marchese ha spoilerato al proprio pubblico il titolo e la copertina della sua nuova raccolta poetica “Chéri” . Dopo “ Scrivo t,amo “, questa penna sopraffina continua il proprio viaggio nella sfera dell’amore erotico con una serie di poesie che evidenziano un’evoluzione; se ne evincono, infatti, maggior morbidezza, intimismo, giocosità… sia nel “tratto” che nella personalità, preservando la sua cifra scrittoria così raffinata e complessa. Nel percorso della poetessa interviene, ad un certo punto, una sintonia che potrebbe tranquillamente definirsi “magica” con Giorgio Borzellino Fellini, esteta e filosofo siciliano, founder del blog Sotto l'albero di fico : la capacità di analisi di quest'ultimo, unita ad una grande sensibilità, forniscono una visione completa delle poesie della Marchese. Così, i pregevoli contenuti scritti da Borzellino diventeranno contributi del libro “ Chéri”. “Je ne sais quoi” è l’ultima poesia inedita di Maria Marchese, fresca di penna – ci piace pensarla intrisa di inchiostro anziché nata tra le battute di word – e, quasi immediatamente dopo, Fellini propone una chiave di lettura in grado di illuminare il lettore, custodendo però quell’atmosfera “sussurrata” che una poesia simile richiede.
Maria Marchese è appena entrata a far parte del comitato editoriale del movimento letterario “ DinAnimismo ” fondato nel 2009 dal noto poeta Zairo Ferrante .
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| A sx "Scrivo t,amo" e "Le scarpe rosse- Tra tumultuoso mare e placide acque" ,oggi in 3' ristampa; a dx la copertina della prossima raccolta poetica su amore ed eros "Chéri" |
Je ne sais quoi
Dedicata a Chéri
Sono sospeso nel “je ne sais quoi”,
nell’istante in cui apocrifi legami di iuta mi cingono,
come un quadro d’arte,
tra tensioni dolci.
“Je ne sais quoi” è anche il tuo vestito:
un bondage, dove trame e orditi firmano armistizi,
con la tua pelle;
quando il tessuto tace,
maturano orgasmi naïfs.
Sbocconcello, allora, il frutto elastico di quelle osmosi,
con lo sguardo,
che si specchia nel profumo del crisma,
che benedice l'epidermide.
Incurante dell'anatomia, lì,
sospeso nel “je ne se quoi”
trovo il senso concreto del nostro amore.
Il senso concreto dell’indicibile
Analisi di “Je ne sais quoi” di Maria Marchese
Con "Je ne sais quoi", Maria Marchese aggiunge una nuova variazione al suo repertorio poetico erotico-simbolico. Se nelle poesie precedenti la sensualità si manifestava attraverso il gusto, la scrittura o la metamorfosi della materia, qui la poetessa affronta un territorio più ineffabile: la qualità indescrivibile dell’amore, quel tratto minimo e irriducibile che dà senso a tutto e che sfugge alla logica, alla definizione, al linguaggio.
Il titolo, ripetuto più volte nel corpo del testo, non è solo un’espressione francese: è una condizione, un luogo sospeso, un campo emotivo. È l’essenza stessa dell’esperienza amorosa.
Il “je ne sais quoi” come stato dell’essere
Il verso d’apertura:
Sono sospeso nel “je ne sais quoi”
definisce subito la postura dell’io: un io che non cammina, non si afferma, non descrive, ma sospende, resta in bilico nell’indefinito, nel quasi-niente che però è tutto. Il “je ne sais quoi” è l’intercapedine in cui nasce l’innamoramento: non spiegabile, non decifrabile, non riducibile.
La seconda immagine introduce un erotismo simbolico, contenuto e raffinatissimo:
apocrifi legami di iuta mi cingono,
come un quadro d’arte,
tra tensioni dolci.
La iuta è materiale povero, ruvido; ma qui è “apocrifa”, cioè quasi sacra, arcana.
L’immagine dell’essere “incorniciato come un quadro” allude al fatto che l’amore non è solo vissuto: è messo in scena, esposto, elevato. Le “tensioni dolci” celebrano la dialettica del desiderio: legame e libertà, stretta e carezza.
Il corpo come tessuto e il tessuto come gesto erotico
La strofa successiva introduce la figura più originale della poesia:
“Je ne sais quoi” è anche il tuo vestito:
un bondage, dove trame e orditi firmano armistizi,
con la tua pelle…
Qui Marchese compie una delle sue metamorfosi più eleganti:
il “non so che” diventa abito, il desiderio si materializza in tessuto, e l’erotismo prende la forma di un bondage lieve, simbolico, fatto di trame, orditi, nodi che non imprigionano ma trattano la pace con la pelle.
Parlare di “armistizi” è un’intuizione geniale: la pelle è il campo della guerra amorosa, della resa, dell’abbandono.
Il tessuto che “tace” —
quando il tessuto tace,
maturano orgasmi naïfs.
significa che è proprio nel silenzio, nella semplicità, nell’ingenuità (“naïfs”), che l’amore raggiunge una forma piena. L’orgasmo naïf non è immaturo: è puro, primordiale, non contaminato dalla tecnica o dal calcolo.
L’osmosi sensoriale e il sacro della pelle
La terza strofa introduce una sensualità più intima, quasi contemplativa:
Sbocconcello, allora, il frutto elastico di quelle osmosi,
con lo sguardo…
“Sbocconcellare” è un verbo meraviglioso: tenero, goloso, affettuoso.
Il “frutto elastico” è il corpo amato, ma trasformato da quelle “osmosi”, cioè dagli scambi sottili che avvengono tra pelle e pelle, tra desiderio e desiderio.
Poi arriva l’immagine sacralizzante:
…che si specchia nel profumo del crisma,
che benedice l’epidermide.
Il crisma è l’olio consacrato della liturgia cristiana. Usarlo in contesto erotico non è provocazione: è trasfigurazione. La pelle dell’amato è benedetta, consacrata dal desiderio. L’amore diventa sacramento laico, rito privato, unione fisica che assume valore spirituale.
L’ineffabile come verità dell’amore
La poesia si chiude ritornando all’inizio:
Incurante dell'anatomia, lì,
sospeso nel “je ne sais quoi”
trovo il senso concreto del nostro amore.
È un finale perfetto: l’amore non si trova nell’anatomia, cioè nella mappa del corpo, nella precisione, nella scienza della carne; si trova nel je ne sais quoi, nell’indefinibile, nell’interstizio, nel non detto.
Ciò che è più concreto — il “senso concreto” dell’amore — nasce da ciò che è più vago.
È uno dei paradossi più antichi dell’eros: ciò che non si può dire è proprio ciò che ci definisce.
Marchese qui non offre una soluzione: offre una rivelazione.
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| A sx Il filosofo ed esteta siciliano Giorgio Borzellino Fellini; a dx Maria Marchese |
Sguardo complessivo
Je ne sais quoi è forse una delle poesie più intime e limpide di Maria Marchese.
Meno giocosa di Crème de pistache, meno riccamente sinestetica di Jus de poésie, possiede però una tenuta emotiva più raccolta, una maturità affettiva che emerge dai dettagli simbolici: i legami di iuta, l’armistizio dei tessuti, il crisma, il frutto elastico.
Tutto qui è calibrato, essenziale, ma costruito con mano esperta.
È la poesia di una donna che non osserva il desiderio: lo riconosce, lo accoglie e ne abita l’indicibile.




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