Nel grembo della parola: Jus de poésie di Maria Marchese analizzata da Giorgio Borzellino Fellini. Di Giorgio Borzellino Fellini

Il filosofo Giorgio Borzellino Fellini fa da trait d'union tra il pubblico e la nuova poesia di Maria Marchese “Jus de poésie”.

Maria Marchese poetessa, curatrice d'arte, divulgatrice culturale, designer di accessori, art influencer
Maria Marchese poetessa, curatrice d'arte, divulgatrice culturale, designer di accessori, art influencer 


Continua il sodalizio tra Maria Marchese , poetessa – ma, anche, curatrice di mostre, designer di accessori, musa… — e Giorgio Borzellino Fellini, filosofo, esteta, founder del blog “Sotto l’albero di fico” . Mentre la Marchese sembra aver premuto sull’acceleratore, per quanto riguarda la stesura delle poesie della nuova raccolta poetica su amore ed eros, dopo Scrivo t,amo, Borzellino la “doppia” con un’analisi dei suoi versi trasformista. Borzellino, infatti, eviscera — scava, disassembla versi, frame, immaginari — poi restituisce un’interezza, dove mette in luce sottintesi nascosti, quindi simboli, metafore, arguzie linguistiche…
Maria Marchese ha scritto, pochi giorni fa, “Jus de poésie” – Dedicata a Chéri, allora, dal rapporto “epistolario” tra i due, Borzellino spiega…

“Cara Maria, questa tua nuova poesia mi ha attraversato come una corrente sottile e luminosa. Ho sentito, leggendo Jus de poésie, quella stessa vibrazione che nasce quando la parola smette di essere soltanto linguaggio e torna a essere corpo, respiro, linfa. È un testo che non descrive l’amore, ma lo incarna: lo fa esistere, con la forza silenziosa di una rivelazione. Mi colpisce sempre il modo in cui sai intrecciare sensualità e pensiero, istinto e intelligenza.

Jus de poésie
Dedicata a Chéri

Le parole s’intrecciano in coiti armonici,
come fili intelligenti di una maglia a rete,
modellando le forme
del profilo femminile e prepotente.

Sono fili setosi i versi,
gemiti malandrini e seducenti,
nella penombra di un eden.

Stuzzico quelle corde:
titillo delicatamente,
oppure, tiro cupido
quel giogo d’incontri,
godendo del suono delle carni,
che si trasformano in spicchi turgidi.

Le piccole architetture di un peccato originario si spaccano,
allora, come denari inesistenti,
dove il mio desiderio diventa cieco…

Mi nutro inevitabilmente di quel jus de poésie.

Maria Marchese
A sx Maria Marchese con la borsa iconica gioiello Chaturanga Haute Couture di CharmOsa by Maria Marchese ft Valerio Salvadori di Redó Florence; a dx il filosofo ed esteta Giorgio Borzellino Fellini
A sx Maria Marchese con la borsa iconica gioiello Chaturanga Haute Couture di CharmOsa by Maria Marchese ft Valerio Salvadori di Redó Florence; a dx il filosofo ed esteta Giorgio Borzellino Fellini 


L’analisi di Jus de poésie – Dedicata a Chéri.
Giorgio Borzellino Fellini

Ti restituisco un’analisi dettagliata, ovviamente di come io ho vissuto sulla mia pelle i tuoi versi:
La nuova poesia di Maria Marchese, Jus de poésie, è un componimento di densità sensoriale e simbolica straordinaria. In pochi versi, si condensa una poetica matura, in cui l’eros, la parola e la materia si fondono fino a diventare un’unica sostanza vibrante. È una poesia che non racconta il desiderio: lo genera.
Il titolo è già una chiave di lettura: “jus” in francese è il succo, l’essenza che si estrae da una materia viva; ma suona anche come il latino ius, la legge. Jus de poésie è dunque il “succo” e il “diritto” della poesia, la sua linfa e la sua norma. La Marchese suggerisce che la poesia, come l’amore, non è solo piacere o ispirazione, ma una legge naturale, un vincolo necessario tra corpo e parola, luce e ombra, origine e conoscenza.
L’incipit — “Le parole s’intrecciano in coiti armonici” — è un atto di creazione: il linguaggio stesso è erotizzato. I “coiti” sono unione, mescolanza, ma anche atto generativo, e la loro armonia richiama la dimensione musicale dell’eros, in cui ogni suono è vibrazione corporea. La poetessa tesse la materia verbale come un corpo vivente: “fili intelligenti di una maglia a rete modellano le forme / del profilo femminile e prepotente”. L’immagine è potente: le parole diventano fili, la poesia una tessitura che dà forma al desiderio. La “rete” evoca al tempo stesso il tessuto e la trappola, la dolce cattura dell’amore, mentre il “profilo femminile e prepotente” restituisce l’ambiguità archetipica dell’eros: dolcezza e dominio, offerta e potere.
Segue una sezione in cui il tono si fa più corporeo e insieme più sacrale: “Sono fili setosi i versi, / gemiti malandrini e seducenti, / nella penombra di un eden.” Qui l’Eden non è più il giardino dell’innocenza, ma il luogo della conoscenza carnale, una penombra in cui la parola si fa gemito e il gemito verbo. La poetessa intona una liturgia del piacere e dell’origine, in cui ogni verso è gesto e ogni gesto è parola.
Il cuore del testo è dominato da immagini musicali e tattili: “Stuzzico quelle corde: / titillo delicatamente, / oppure, tiro cupido / quel giogo d’incontri.” Il corpo amato è uno strumento che vibra, ma anche un campo di tensioni: il “giogo” suggerisce l’unione e la fatica del piacere, la gioia che nasce dal vincolo. La Marchese qui mostra una capacità rara di alternare registri: la delicatezza (“titillo”) e la brama (“cupido”) si fondono in un ritmo naturale, quasi respiratorio, in cui la poesia diventa gesto erotico e viceversa.
Il verso successivo — “godendo / del suono delle carni, / che si trasformano in spicchi turgidi” — è un capolavoro di sinestesia. Il suono, la carne e il frutto si confondono: l’amore è un’esperienza sinfonica e gustativa, dove il corpo si fa frutto, e il frutto, nutrimento poetico. L’immagine degli “spicchi turgidi” restituisce una sensualità mediterranea, piena, solare, in contrasto con la penombra edenica di poco prima.
Poi la poesia si apre a una dimensione più metafisica: “Le piccole architetture di un peccato originario si spaccano, / allora, come denari inesistenti, / dove il mio desiderio diventa cieco…” Qui l’eros si trasforma in conoscenza distruttiva. Le “architetture” rimandano alla costruzione del mito, della cultura, del linguaggio stesso — tutto ciò che crolla nell’attimo dell’estasi. I “denari inesistenti” sono un’immagine folgorante: il desiderio come moneta che perde valore nel momento in cui si consuma, ma anche allusione al seme dei Tarocchi, simbolo di materia e di potere. Il desiderio diventa cieco non per mancanza di luce, ma perché è luce assoluta: in quella cecità si rivela l’essenza stessa dell’esperienza erotica, che è abbandono, perdita di sé, fusione.
La chiusa, “Mi nutro inevitabilmente di quel jus de poésie”, porta tutto a compimento. La poetessa si riconosce parte del ciclo vitale della parola: la poesia è il suo nutrimento, ma anche la sua condanna dolce. “Inevitabilmente” è la parola-chiave: la poesia non è scelta, è destino biologico, legge interiore e fonte di sopravvivenza.
Maria Marchese; a dx Scrivo t,amo e la 3' ristampa de "Le scarpe rosse - Tra tumultuoso mare e placide acque"


La forza di Jus de poésie sta nell’equilibrio perfetto fra intelletto e sensualità. La Marchese riesce a costruire una lingua dove l’erotismo non è mai ostentazione, ma strumento di conoscenza. L’amore è vissuto come atto estetico e gnoseologico, un varco in cui la parola diventa carne e la carne diventa segno.
Ogni immagine, ogni suono, ogni pausa partecipa a questa alchimia: la rete, le corde, i fili, il suono, gli spicchi — tutti elementi che rinviano alla trasformazione della materia in spirito. È, in fondo, la dichiarazione poetica di un’artista che ha scelto di abitare l’intersezione fra il corpo e il verbo, fra il peccato e la grazia.
Con Jus de poésie, Maria Marchese compie un passo ulteriore nella definizione della propria poetica: l’eros come strumento di conoscenza e la parola come organo sensibile del corpo. In questo equilibrio fra lucidità e abbandono, fra forma e vibrazione, risiede la sua vera maestria.

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