Una metafisica favolata diventa filastrocca della memoria nell'opera 'Dimenticato' di Marco Nava
Marco Nava rapisce l'osservatore dolcemente e lo coinvolge nel luogo della memoria, dove valori perduti assumono nuovamente la loro importanza; materiali e forme diventano quindi l'incipit che consente all'individuo di percepire la sfera quotidiana ma anche quella inconscia.
a cura di Maria Marchese
Una mano di Marco
Nava afferra la
spatola e la “figge” sulle tele, ‘sì che pieni e veloci istanti appaiano, al
ciglio, come inusuali accenti cromatici, che raccolgono, tra i brevi spazi, la destrutturazione
artistica di un delirio, oppure, di una cara realtà quotidiana; l’altro palmo,
invece, si appropria del pennello e carezza, sui supporti, verità adombrate da “filastrocche compositive”
, laddove il dolce canto cela verità profonde.
“L’amore nasce dal ricordo, vive di intelligenza e muore
per oblio.”
Nell’inchiostro della saggezza antica di Ramòn Llull,
odorosa di ratio, ma, anche, di mistero, intingo il mio pennino, per introdurre
l’opera “Dimenticato” , dell’artista ferrarese. Ramòn Llull, scrittore,
teologo, logico, astrologo, alchimista, mistico spagnolo, vissuto tra il 1200 e
il 1300, è stato un temperamento, dedito tanto alla ricerca accademica quanto a
quella mistico/riflessiva; il breve verso, infisso, da me,
come incipit, sintetizza, esaustivamente, l’euritmia compositiva e narrativa
della tela dell’autore di Ferrara.
Parto, quindi, dall’oblìo,
dalla dimenticanza, che l’autore spagnolo attribuisce come causa scatenante della
morte del sentimento d’amore, e, con esso, abbraccio il titolo, scelto da Marco
Nava, “Dimenticato” , per affrontare un percorso, a ritroso, “scivolando”
tra trame spazio/temporali, che vivificano l’amore come creatura, nutrita
dall’intelligenza e dalla cura, e ne indovano il sorgere nella memoria di un’inflessione
dell’anima profonda e radicata.
L’artista stende, dapprima,
la iuta, con il suo carattere emotivo tanto frugale quanto tenace,
celebrandola come letto natìo fondamentale; trame e orditi accolgono, così, una
mescianza di “terra” e acqua; questo connubio celebra la concretezza di un
suolo metafisico, eppure, reale e fecondo. Il contesto,
ammannito dall'artista serba, indi, il peso e l’intensità per ospitare
la levità di una composizione dagli umori favolati, dalle linee
essenziali, quasi sinottiche, che vogliono comunicare, in maniera
diretta, valori indispensabili.
Un “fill rouge” taglia
l'interezza, sottolineando la propria presenza: l’occhio,
inevitabilmente, lo individua, subendone il fascino, e, seguendo quella
sottile membrana, viene coinvolto addentro l’enfasi di un
orizzonte.
Il porporino filo è lì per ricongiungere
porzioni esperienziali diacroniche: il ciglio, ivi, infatti, lascia
ogni cognizione predisposta da riferimenti pregressi, perdendosi; si ritrova,
infine, esattamente, dove l’artista lo coinvolge: in un gioco
semplice, i cui ruoli sono narrazione di un complesso stato emozionale.
La molletta, dettaglio
infinitesimale, normalmente, in questo caso, assume un’importanza esponenziale:
la dimensione è esaustiva di quanto un elemento così piccolo possa avere una
rilevanza tanto grande.
Marco Nava ammanta quest’ultima
e la dimora dello stesso pentagramma tonale, le cui vibrazioni si
muovono dal rosso al rosa antico; originariamente, il colore rosato indicava
l’aspetto mascolino, proprio perché era una derivazione del rosso e della sua
forza. L’artista lo coglie nella sfumatura, che unisce la figura
muliebre e quella maschile, laddove entrambi coesistono, mentre la casa diventa
quel penetrale antico, fermo e di riferimento.
Marco Nava |
Marco Nava riassume
l’interezza in una diade di piani intonsi e luminosi, eden
sospeso tra terra e cielo.
Ogni conflitto, messo il luce dagli ossimori, gravità e
leggerezza, indi, uomo e donna, passato e presente, realtà o sogno, rigore o
morbidezza… viene polverizzato dal silenzio di un microcosmo ordinato,
che rispecchia il sorgere di un’alba nuova, la gemmazione di una resurrezione,
la conciliazione del proprio sé più intimo.
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