Roots/Radici: la prima opera che dà vita alla sere che contraddistingue l'artista modenese Stefano Polastri.
Roots rappresenta la prima opera che dà vita alla serie che diventa emblematica di Stefano Polastri; l'artista, ritrovando se stesso, sintetizza la stagione scultorea che sono ad oggi lo contraddistingue nel panorama contemporaneo.
Roots – Radici (Legno scagliola, metallo, h cm.100, l cm.40, p cm.30 intaglio e modellato) |
a cura di Maria Marchese
Stefano Polastri, autore modenese la cui mano si
esperisce foggiando esperienze multiformi pittoriche o scultoree, radicate sia al
concretamento classico che moderno, alla realtà della sfera sacra e non, ad un
certo punto del proprio percorso conoscitivo avverte una sorta di richiamo inconscio;
seguendolo, quella stessa mano individua l'essenza più intima della sua personalità.
Tempio di
Suma – Ascolto
Un flauto
che nessuno suona
Nel bosco
scuro d’ombre.
L’opera “Roots” sintetizza la sostanza di Polastri e è possibile coglierne il senso primo anche tra i versi del Maestro giapponese. Il Tempio di Suma, come il pantheon interiore dell’artista , è seduto nel cuore della foresta, laddove la ricerca di sé è contemplazione e ascolto, e rappresenta un apice ancestrale, primievo, l’archè; allo stesso modo, allontanandosi quindi dalla folla e dalla follia sociale, dal bailamme, lo scultore coglie la propria euritmia intrinseca, quel flautato suono che è connaturato con l’io intuitivo e spirituale, proprio nel mistero e nella spontaneità del bosco. Roots è un pensiero flesso e nodoso; Polastri ne asseconda l’eleganza naturale e dorata, rispetta le setose striature, come penetra e sottolinea i rudi nicchi, scavati tra le carni. L’estro, ad un certo punto, interviene, prepotente ma sincero, ‘sì che lo scultore vi ama un volto femminino, sia esso quell’armoniosa riconciliazione, oppure la fascinazione nei confronti della donna o, ancora, l’individuazione dell’ascesi.
Stefano Polastri |
Polastri lo
plasma, suggellando polvere e acqua, che mutano in marmorea concretezza,
seppure la compatta severità serbi la delicatezza delle virtù muliebri; ne
sposa sapientemente i lineamenti, decisi e perfetti, alla mutevolezza della
radice, come se da essa fiorisse.
Anche Basho,
attraverso l’ “áskēsis”, percepisce la
scintilla divina insita nella natura, riesce a darle voce, raggiungendo uno
stato di grazia essenziale, che culmina nell’aiku.
Con “Roots“,
Polastri coglie il medesimo stato fluttuante, fluttuando lui stesso, dove il
movimento implica sensazioni impermanenti, dove ogni atto è prologo del
seguente, il prodigio, custodendo il mondo e non trascendendo da quest’ultimo. L’opera
racchiude infatti una tensione interna che, alfine, “esplode”, scalfendo
l’integrità del legno: esso si apre in un orgasmo.
Hai-K.O.
del continuum:
Il
principiare / di inizio e fine / è ritrovarsi
Roots è un vero e proprio
ricongiungimento, dal quale nasce un’intera stagione artistica, narrazione
plastica di plurime pagine estetiche.
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